Spesso ci chiediamo se tutta questa attenzione sull’uso di una lingua verbale, scritta e parlata, inclusiva sia davvero giustificata. Insomma, è proprio necessario prestare attenzione a usare forme inclusive che possano far sentire tutte le persone a cui vogliamo rivolgerci davvero prese in considerazione? Oppure è solo una moda o un capriccio del momento? Ci chiediamo se quando parliamo dobbiamo davvero fare attenzione a dire sindaca piuttosto che sindaco se ci stiamo rivolgendo ad una donna. Così come ci chiediamo se l’uso del genere femminile nella lingua parlata e scritta possa davvero apportare un cambiamento alla percezione che si ha della donna e di tutte le persone che non si identificano in un genere eteronomativo.
Ebbene la risposta è sì. Perché il nostro modo di percepire il mondo è anche plasmato sulla lingua che usiamo per descriverlo. Se dunque, nella nostra lingua non c’è spazio per le donne nelle professioni che storicamente sono degli uomini o non c’è spazio per includere tutte le persone che fanno parte della nostra realtà, allora non ci sarà mai spazio per loro nell’avere un riconoscimento reale nel mondo.
Vediamo insieme perché.
Il genere femminile non è cacofonico
Molte volte, coloro che preferiscono non usare il genere femminile, per esempio nelle professioni, si nascondono dietro la scusa che il femminile sia cacofonico. Se fosse davvero così, parleremmo ancora il latino. Per fortuna la lingua si evolve e non c’è modo di fermarla. Una volta che l’inconscio collettivo accetta per buono un determinato termine, secondo la regola consuetudo norma legis, quel termine inizia ad entrare di diritto nella lingua sia scritta che parlata.
Indi per cui, sindaca, ingegnera, architetta, notaia, avvocata, ministra, non sono termini cacofonici, ma sono solo dei termini nuovi a cui abbiamo solo bisogno di abituarci. Il fatto che non siano stati mai usati nella lingua scritta e parlata fino a qualche anno fa, dipende dall’impossibilità per le donne di accedere a delle cariche pubbliche o a delle professioni che sono sempre state appannaggio degli uomini.
Ma ora le donne rivendicano il proprio diritto a vedersi riconosciuti quei posti che sono stati loro preclusi per anni, per centinaia di anni. E questo riconoscimento, inizia in modo solo apparentemente banale, dalla lingua nel suo uso quotidiano sia scritto che parlato.
L’uso del genere femminile verso l’inclusione
Il compito di noi che lavoriamo nel mondo della scrittura creativa e strategica è intercettare questi cambiamenti e tradurli in strategie e piani di comunicazione. L’uso del genere femminile sottintende l’uso di forme nel linguaggio più inclusive; per questo, per rivolgersi a tutto il nostro target, senza che nessun elemento si senta escluso o messo da parte, cerchiamo di usare maggiormente le perifrasi e non i generi netti, a meno che non ci stiamo rivolgendo sicuramente a un genere preso in considerazione, inventiamo modi linguistici per creare un mondo più inclusivo e rispettoso di tutte le persone che lo vivono, abbattiamo gli stereotipi, come quello dell’uso del sostantivo “uomo” per riferirsi a tutta l’umanità.
Un nuovo mondo è possibile. Cominciamo a costruirlo dalle parole che utilizziamo per raccontarlo.
A tal proposito vi consigliamo vivamente la lettura del testo https://www.effequ.it/saggi-pop/femminili-singolari/
Un testo meraviglioso che vi aiuterà ad approfondire l’argomento.