Minimalismo Digitale: 4 modi per staccare la spina
Il Minimalismo Digitale? Che cos'è questa parolaccia? No, dai, non è una parolaccia, ma un nuovo modo di approcciarsi alla vita digitale, anche da parte dei brand.
Immaginiamo, per un attimo, almeno un brand che è sempre, perennemente sui social media, indistintamente su tutti i canali social. La prima cosa che ci viene da pensare è che noia! Abbiamo davvero bisogno di tutti questi contenuti? E soprattutto, tutti questi contenuti, ogni giorno, potranno apportare un reale valore alle nostre esistenze?
La risposta è NO e l'effetto è un subitaneo unfollow. Ecco, il brand ha perso 1-2-3-mille follower in un colpo solo.
Perché, diciamocelo, il minimalismo digitale è molto più cool.
Come attuare il Minimalismo Digitale per i Brand
È molto più facile di quanto sembri! Bisogna solo prendere coraggio. Perché pensare ad una vita "disconnessa" non è semplice ma, allo stesso tempo, non è impossibile.
Per questo vi suggeriamo 4 modi per staccare la spina e per rendere sostenibile la comunicazione del vostro brand:
- non pubblicare un contenuto ogni giorno
- intercetta i desideri e i bisogni del tuo pubblico e comunica solo soluzioni valide
- poniti obiettivi di valore sociale e ambientale e rendili pubblici sui social media
- invia newsletter solo quando ci sono promozioni o iniziative che possano coinvolgere "le tue persone"
Come attuare il Minimalismo Digitale se sei un freelancer
Spesso anche i freelancer che lavorano nella comunicazione si trovano nelle condizioni di dover ricorrere al Minimalismo Digitale per salvaguardare la propria salute mentale. E allora ecco, anche per loro, 4 modi per staccare la spina:
- prenditi del tempo per te, individuando anche solo un'ora nella giornata, in cui spegnere ogni dispositivo
- fai una passeggiata o trascorri un po' di tempo all'aria aperta
- non farti prendere dalla FOMO (fear of missing out): se hai perso qualche evento, pace, ce ne saranno altri
- fai ordine tra i tuoi contatti e abbandona le newsletter che non leggi più
Il Minimalismo Digitale migliora le vite dei brand e delle persone
Una vita migliore è possibile, anche nell'epoca del "sempre tutto connesso". Dobbiamo sempre e comunque ricordarci che siamo noi a scegliere, al di là di ogni cosa. Possiamo farlo come professionisti e possiamo farlo come brand.
Scegliamo ciò che può davvero cambiare la nostra esistenza e quella delle persone che ci scelgono. Andiamo incontro all'essenziale.
Perché l'unica cosa di cui abbiamo bisogno davvero, è solo un po' di aria.
Word Design e Food: come le parole riescono a tradurre il gusto
È possibile tradurre il gusto con le parole? Chiaramente la nostra risposta è si. Tutto si può comunicare con le parole, a patto che riusciamo a scegliere quelle giuste e a patto che riusciamo a scegliere anche la forma giusta.
Scrivere per la comunicazione digitale, infatti, non è come scrivere una pagina del nostro diario segreto. Dovremo tener conto sempre delle regole fondamentali del Word Design. In sintesi, giusto per riconnetterci sempre al discorso originario, dobbiamo:
- ideare e scrivere un testo leggibile, con una sintassi semplice e corretta
- concepire e progettare un testo che possa essere riprodotto su tutti i posizionamenti digitali atti alla promozione del brand
- dare tutte le info utili affinché chi legge possa entrare in contatto diretto con il brand o con il prodotto
Word Design e Food: replicare il gusto su larga scala
Una volta chiarita la base, torniamo alla domanda iniziale: come si fa a tradurre il gusto a parole? Ricordate il claim pubblicitario di Fonzies? Se non ti lecchi le dita godi solo a metà. Più gusto di così! Leggendo questo claim abbiamo desiderato sicuramente di leccarci le dita dopo aver mangiato un Fonzies, abbiamo sentito il sale, goduto di quel gusto in più dateci dà quell'adorabile junk food, oppure abbiamo comprato direttamente un pacco di Fonzies.
Abbiamo preso come riferimento il claim di Fonzies perché, come ogni claim che si rispetti, è stato replicato in tv e in comunicazione offline. Era dappertutto, perché poteva essere dappertutto.
Il claim di Fonzies non ci lasciava mai soli e si adattava anche molto bene a remake simpatici e alternativi, tra cui numerosissimi quelli a sfondo sessuale.
Altro famosissimo claim per replicare il gusto su larga scala, è stato quello di Nutella: che mondo sarebbe senza Nutella? Il claim di Nutella, addirittura, espandeva il godimento del gusto dato da Nutella a tutta la sfera del vivere umano, indicando che il mondo non sarebbe stato lo stesso, non sarebbe stato quello che conosciamo oggi se non ci fosse stata Nutella.
Altro esempio utile per comprendere il Word Design e la possibilità di replicare il gusto su larga scala è quello di Tronky, fuori croccantissimo, dentro morbidissimo, sempre del brand Ferrero. Leggendolo, replicato su larga scala, come un degno prodotto di Word Design, dava a chi ascoltava o leggeva, la sensazione di addentare già il Tronky, godendo al contempo di croccantezza e morbidezza insieme.
Quindi come è possibile diffondere il gusto su larga scala utilizzando "solo" delle parole?
La scelta del lessico come priorità del Word Design nel Food
La sfida fondamentale del Word Design è creare un testo che se letto sui social, se ascoltato in radio o in tv, se letto su un 6x3 per strada o replicato su una locandina pubblicitaria in un negozio sia leggibile, memorizzabile e lasci una traccia dentro di noi. Inoltre, deve tradurre al meglio il prodotto gastronomico che vogliamo comunicare.
È per questo che ci serve selezionare un campo semantico che consti di tutte le caratteristiche peculiari del prodotto. Una volta selezionati, i tratti distintivi del prodotto vanno formulati in una sintassi semplice e d'impatto diretto. Se torniamo all'esempio di Fonzies, lì il tratto fondamentale è il sale, in Tronky la croccantezza e la morbidezza. Chi legge o ascolta deve poter sentire immediatamente il godimento al palato o, come nel caso di Nutella, la totalità dell'esperienza che inizia proprio dalle papille gustative.
Le parole usate nella comunicazione del food non solo devono tradurre cosa rappresenta quel prodotto, ma devono anche comunicare il plus che quel prodotto può portare nella vita di chi lo consuma, un plus che deve sempre e comunque essere quello del godimento legato al cibo. E che esso sia un junk food o un cibo salutare non importa: ciò che importa davvero è il grado di benessere che riuscirà ad apportare, perché vorrà dire che ne sarà valsa la pena.
Cosa sai del Visual Storytelling?
Cosa sai del visual storytelling? Ma soprattutto, sai di cosa stiamo parlando quando parliamo di visual storytelling? Bene, se non sai dare una risposta a queste domande o se la tua risposta ti appare ancora confusa, sei nel posto giusto.
La nostra è una società visual
Da quando c'è stata, nel Secondo Dopoguerra, la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, e in particolar modo, in quel frangente storico, la televisione, la società occidentale è diventata una società visual. Non ci perderemo in trattazioni storiche. Ciò che ci interessa sapere che una società visual è una società dove vige il potere dell'immagine e dove la percezione visiva ha ovviamente la meglio su tutti gli altri sensi.
Basti pensare che perfino il cibo, da qualche anno, considerato uno dei business più floridi e che non conosce crisi, ha bisogno dell'impatto visivo per essere comunicato. Perché, ovviamente, la società visual necessita di strategie di comunicazione che siano visual.
Ma una strategia di comunicazione non si inventa così su due piedi. Infatti non tutte le persone che creano contenti sui social media sanno e possono comunicare. E anche se i social sono uno strumento accessibile senza limiti, chi ne fa uso, talvolta, presenta molti limiti.
Il nostro potrà sembrarvi anche un atteggiamento un po' snob. ma purtroppo è la verità. Nulla è frutto di un'illuminazione temporanea o, a patto che lo sia, dopo per fare in modo che le cose funzionino e vadano per il verso giusto, ci vuole strategia.
ll visual storytelling è una strategia di comunicazione
Metodo di comunicazione prescelto nelle strategie di Inbound Marketing è il visual storytelling. L'immagine, che sia ferma in grafica o in fotografia, o che sia mobile in video, è senza dubbio più immediata rispetto alla parola scritta e al linguaggio verbale. Questo deriva da una necessita ancestrale dell'essere umano di vedere e vedere dà una percezione immediata del tutto a scanzo di equivoci.
Chiaramente per fare in modo che tante persone condividano ciò che stanno vedendo, dobbiamo tenere in considerazione il fatto che le immagini che vedono si basino sul linguaggio comune dell'inconscio collettivo.
La prima regola, quindi, per un visual storytelling che funzioni è capire se la visual strategy proposta possa avere potenzialmente presa sul maggior numero di persone a cui si propone e che queste persone possano trovarla condivisibile.
Quindi, affinché ci sia un visual storytelling, c'è bisogno che ci sia una persona in grado di scrivere quella storia e cosciente che quella storia dovrà essere tradotta in immagine.
Il ruolo del Word Designer nella creazione di un visual storytelling
Perché parliamo dell'esigenza di avere una persona che si occupi di word design, piuttosto che solo di copywriting, nella creazione di un visual storytelling?
A differenza di chi fa copywriting, chi fa word design è consapevole che la sua storia debba essere tradotta in immagini e che quelle immagini debbano essere poi assemblate in un contenuto da diffondere su diversi canali. Pertanto, scrivere un visual storytelling per uno spot pubblicitario non è la stessa cosa che scrivere un visual storytelling per video Reel di Instagram o ancora per uno slideshow di una copertina di una pagina Facebook.
Ci sono delle differenze sostanziali legate al canale di comunicazione che chi si occuperà di visual storytelling deve conoscere e deve maneggiare con grande fermezza. La differenza primaria e imprescindibile è data dal mezzo di comunicazione; a questo seguirà un'analisi dettagliata del target a cui ci stiamo rivolgendo, del contesto socio-culturale e storico in cui quel contenuto sarà diffuso, oltre che della natura del brand che stiamo comunicando e della sua vision.
Presto analizzeremo le differenze che abbiamo sopra elencato; per ora meditiamo sul fatto che per un visual storytelling (se ci occupiamo di Word Design) ci servirà una grande capacità di analisi, la propensione a scrivere in maniera trasversale e laterale, affinché il nostro contenuto possa trasformarsi in un'immagine e all'abilità di saper parlare alla pancia e alle emozioni basilari di chi ci guarderà, per lasciare dentro una memoria. Ci si augura, indelebile.
Come riconoscere il/la cliente di merda
Questo è un articolo di sostegno per chiunque lavori nell'ambito della comunicazione e del digital marketing. Spesso le persone che vengono a chiederci un servizio, non hanno assolutamente chiaro che servizio stiamo proponendo loro, ma sono convinte di conoscere a fondo queste dinamiche.
Il/la cliente di merda sono le persone che nutrono l'assurda e irreale certezza di sapere cosa farai per loro. Ma loro sanno di non saperlo fare e, per questo si rivolgono a te. E spesso, dacché ti pagano, pensano di poter esercitare un totale controllo sul tuo tempo e sul tuo modus operandi.
Niente di più sbagliato!
In questo blog ti aiuteremo a capire come poter fronteggiare il/la cliente di merda, quali sono le tecniche e le buone maniere per intrecciare rapporti lavorativi duraturi e sereni. Perché il nostro obiettivo non è farci la guerra, ma cercare la strada meno dolorosa per avere il massimo dei risultati.
Il nostro è un paradigma win-to-win, dove chi partecipa vince, comunque vada.
Riconoscere il proprio valore
Lo sappiamo, quando si comincia si prende chiunque. Agli inizi di una carriera, infatti, qualsiasi cliente ci sembra la Luna: può apportarci dei guadagni, può farci fare esperienza, può permetterci di pagarci il nuovo Mac che abbiamo adocchiato. E così, presi dagli entusiasmi tipici dei neofiti, si finisce per prendere chiunque, davvero.
Dopo poco tempo inizi a renderti conto che, probabilmente, quello/a che sembrava un tenero agnello, in realtà è una iena feroce, con tanto di artigli pronta a farti a brandelli. Ebbene, è proprio in questo momento che devi comprendere quale è il tuo reale valore. Hai studiato, hai fatto formazione, hai profuso tutto l'impegno possibile e immaginabile, hai passione e stoffa per fare ciò che fai, ma soprattutto hai scelto di farlo. Questo è davvero importante. Il tuo valore non si può barattare per pochi euro. Alza la testa e non abbatterti.
I tratti costanti per il/la cliente di merda
Vi elenchiamo qui dei tratti costanti che caratterizzano il/la cliente di merda, a prescindere dalla sua provenienza o dall'attività che gestisce:
- è scortese con chi lavora al suo fianco. Ricorda, i dettagli fanno sempre la differenza e rivelano chi è realmente la persona che hai di fronte. Un grazie non detto, un consiglio non dato, una risposta poco felice sono particolari non trascurabili per te, che stai per lavorare con il/la cliente di merda.
- non rispetta le scadenze, ma pretende da voi tempi strettissimi. Quando si tratta di pagare il/la cliente di merda tirano fuori mille scuse affinché questo non succeda. Ma se si tratta di voi, allora dovrete spaccare il minuto, essere super puntuali. Vi ricorda qualche vostra conoscenza?
- paga puntuale, ma pretende l'anima in cambio. Il/la cliente di merda ti paga puntuale, a volte anche prima delle scadenze. Tu sei felice, come è giusto che sia, in un mondo equilibrato. Ma il/la cliente di merda pensano di stare a farti un favore e quindi si sentono in diritto di chiederti l'anima in cambio. Ebbene, non farti trarre in inganno. Sappiamo che i soldi ti servono in questo periodo e sono totalmente funzionali alla tua crescita. Ma non farti prendere dal nessun dubbio! Pagare è un dovere, esattamente al pari del lavoro che tu stai svolgendo. Pagarti non è un favore che ti stanno facendo; ricevere un pagamento è un tuo diritto, come un loro diritto è ricevere un servizio. Fino a quando vige questo equilibrio non c'è nulla di cui preoccuparsi. Ma soprattutto non c'è nulla che non va. Continua per la tua strada, con correttezza e coerenza.
- sottovaluta il valore della tua creatività. Sei una persona creativa, hai scelto di fare un lavoro creativo. Questo non vale meno di un lavoro analitico. Non ci sono parametri esatti per valutare un lavoro creativo, ma ce n'è uno invalicabile: il rispetto per chi lo sta svolgendo.
- è saccente. Forse questo è il più grande limite del/la cliente di merda. Pensa di conoscere tutto sul tuo lavoro, proprio lui/lei che, in realtà, ne fanno un altro completamente diverso. Questo accade perché la sovrainformazione del web ha causato non pochi problemi. Abbiamo cominciato a conoscere di tutto un po' e questo ci ha fatto credere, erroneamente, di conoscere tutto. E in realtà non si conosce nulla davvero, fino in fondo.
Come rispondere al/la cliente di merda
Dovrete in tutti i modi far si da evitare il/la cliente di merda. Non si tratta di cattiva volontà, ma se vorrete svolgere serenamente il vostro lavoro, dovrete fare in modo da creare attorno a voi un ambiente che sia degno di gioia.
Se, invece, vi troverete nella condizione di dover necessariamente collaborare con gente del genere, usate sempre gentilezza e imponete la vostra professionalità: è l'unica arma che potrete usare davvero a vostro favore.
Cos'è il Word Design? Riproducibilità ed etica della scrittura
Che cosa vuol dire, oggi, essere una word designer? Diciamo che il termine design è anche fin troppo abusato. Quindi, prima di addentrarci nella spiegazione, meglio procedere per gradi.
Nella società di massa, in cui viviamo e in cui ci ritroviamo ad agire, a creare relazioni e a lavorare, il design ha assunto un ruolo fondamentale. Perché il design prevede un processo di progettazione a monte che possa rendere tutto ciò che vediamo, ascoltiamo, tocchiamo, leggiamo, riproducibile e confortevole su qualsiasi dispositivo in nostro uso. La nostra società e la nostra cultura non contemplano più da molto tempo, ormai, l'artefatto unico.
Tutto ciò che ci circonda rientra nel design, perché tutto ciò che ci circonda non esiste nella sua unicità, ma nella sua riproducibilità. E questo vale anche per le opere d'arte, per le opere nate dalla creatività umana.
L'era del design, l'era della riproducibilità tecnica
Nel 1936 il filosofo Walter Benjamin scrive L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, un saggio che tutte le persone che fanno comunicazione dovrebbero leggere prima o poi. Nel saggio Benjamin analizza lo stato dell'arte a lui contemporaneo, evidenziando che l'opera d'arte potrebbe andare incontro ad un pericolo. Il pericolo è individuato nella perdita dell'aura di unicità in favore di un altro tipo di meccanismo: la diffusione massiva dell'opera attraverso la riproduzione su scala industriale della stessa.
Ma, mentre l'opera d'arte perde la sua aura nella riproducibilità come dice Benjamin, perché pensata per essere unica, l'opera di design ha la sua aura proprio nella sua riproducibilità. Infatti, un'opera di design viene pensata per essere riprodotta e progettata per doversi adattare a diversi parametri e diversi dispositivi.
Design, riproducibilità e cultura visuale
Come dice Riccardo Falcinelli, design può essere tradotto con progettazione e qualsiasi opera di design è tale solo se pensata per la progettazione.
Sempre Falcinelli (2014, 6) sostiene:
Non c'è dubbio che il design abbia molti aspetti per così dire artistici, ma sono solo una parte, spesso non principale, di ragionamenti e problemi molto spesso più articolati: documentarsi su un tema preciso, risolvere una questione tecnica, ottenere i diritti di un'immagine, fare un preventivo, rapportarsi con i clienti e così via.
È per questo che la scrittura, come la grafica, diventa un elemento di design nella comunicazione.
Di qui, si fa subito chiara la differenza che c'è tra un articolo di giornale o un'opera di letteratura e un payoff di un brand o un claim scritto per una campagna pubblicitaria o ancora un copy per i social o i testi di un sito web.
Elementi di Word Design e responsabilità della comunicazione
Chiamiamo Word Design il design delle parole. Se scrivo un copy per un social media, ad esempio, dovrò tener conto del fatto che il mio target dovrà leggerlo in maniera confortevole sia su un dispositivo mobile che sul pc; se scrivo un claim per una campagna devo selezionare i termini giusti in un campo semantico coerente, che possano imprimersi nella memoria del target e quindi essere ricordati nel tempo, se scrivo un testo per un sito web non dovrò fare un mero esercizio artistico di bravura, ma dovrò connettere le volontà del cliente, la vision aziendale o del brand, la sua mission, il pubblico a cui si dovrà rivolgere.
Potrei fare decine di esempi a riguardo. La lezione non cambierebbe di molto: un word designer deve tener conto di tantissimi elementi (che non approfondiremo in questo articolo), ma anche e soprattutto del fatto che il suo testo dovrà essere riprodotto all'infinito su tanti dispositivi diversi.
Scrivere è comunicare e comunicare è una responsabilità. La responsabilità di veicolare messaggi e il potere di divulgare idee, abitudini, modi di fare. Ricordiamolo sempre.
La lingua scritta è visual
Dite la verità, non ci abbiamo mai pensato, eppure ogni tanto il dubbio ci sfiora: ma la lingua scritta è uno strumento visual? Cerchiamo di fare chiarezza: la lingua scritta, nelle sue declinazioni di copy o content può essere uno strumento di visual design? Noi crediamo fortemente che la risposta sia si. E se avete ancora qualche perplessità a riguardo, in questo breve articolo vi proporremo il nostro punto di vista e poi, traslando il buon Alessandro Manzoni, a voi l'arda sentenza.
La lingua scritta come elemento di visual design
Prima di esporre qualsiasi teoria in merito, vi consigliamo la lettura del testo Critica portatile al visual design di Roberto Falcinelli (amzn.to/3oAhSUr), uno dei massimi esperti italiani di visual design. Il testo di Falcinelli espone in modo avvincente e approfondito la storia e le applicazioni del visual design in ambito mondiale. Egli parte dall'invenzione della stampa da parte di Johann Gutenberg all'incirca nel 1450, passando per la nascita di una vera e propria società di massa, fino ad arrivare ai nostri giorni.
Per evitare imprecisioni, l'analisi che condurremo sarà quanto più analitica. Il nostro obiettivo sarà portarvi a comprendere come la lingua scritta possa essere considerata un elemento del visual design, una parte integrante e necessaria di una strategia anche visiva.
Partiamo dall'assunto che le parole, quindi la lingua verbale scritta, si legge e la si legge con gli occhi. Quindi, come un qualsiasi elemento visual all'interno di una strategia di creazione e comunicazione di un prodotto. Pensiamo, ad esempio ad un packaging, ad una brochure, ad una presentazione aziendale, alle campagne offline o in una strategia di digital marketing. La lingua scritta è ovunque. E per questo deve rendersi degna di un connotato visuale. Viviamo in una società visuale e questo la lingua scritta ne è un elemento fondamentale.
Vedere attraverso la lingua scritta
La prima facoltà che apprendiamo, dopo aver imparato le regole meccaniche e fisiologiche della lettura, è l'immaginazione. L'immaginazione, come sostiene Bruno Munari, artista e designer italiano, nel suo testo Fantasia (amzn.to/3HIvODk), è la capacità di creare collegamenti tra ciò che sappiamo: per questo più sono vaste l'esperienza e la cultura di una persona, tanto più la sua capacità di immaginazione sarà vivace. Munari ci spiega anche cosa sono la fantasia, ovvero la capacità di creare mondi e visioni che non appartengono al mondo reale, ma che nascono puramente dalla nostra soggettività. Passa poi all' invenzione, che invece è la capacità pragmatica di dare vita a oggetti utili a un obiettivo, senza però curarne anche l'estetica. Conclude con la creatività, ovvero l'abilità di connettere fantasia ed invenzione.
In questi processi, non si può ignorare che la lingua verbale e, nel nostro caso particolare, la lingua verbale scritta sia un elemento da cui non possiamo prescindere anche all'interno di una strategia visiva.
Perché esso è in grado di darci delle visioni e che queste visioni, poi, siano talmente potenti da riuscire a coinvolgere i nostri cinque sensi.
Il filosofo Ferruccio Rossi Landi sostenne, in tutta la sua opera e in tutti i suoi saggi, che la lingua, scritta e parlata potesse essere assimilabile ad un utensile, di cui gli esseri umani si servivano per modificare e adattare la realtà ai propri bisogni.
Alla luce di questo, si comprende bene come la lingua verbale scritta rientri in una strategia visual. Perché noi vediamo, oltre che leggere, la comunicazione, i messaggi verbali inseriti in una strategia, vediamo i claim, i payoff dei brand, vediamo e associamo alle immagini i copy di un sito internet, di una brochure o di un cartellone 6x3. E attraverso la lingua verbale scritta creiamo connessioni tra il nostro mondo, tra ciò he conosciamo e tra ciò che possiamo immaginare.
Usare la lingua scritta come elemento visual
Quindi, come usare la lingua scritta come elemento di una visual strategy? La lingua scritta deve essere esteticamente bella, armoniosa, oppure sensazionale, forte, travolgente, o ancora commovente, insomma capace di darci emozioni. Essa deve poter coinvolgere i nostri cinque sensi. Leggere è una facoltà visiva dell'essere umano. In questo contesto, la sintassi o la scelta di un dato carattere tipografico per esprimere un certo concetto, il modo in cui scelgo di collocare le parole e la loro significanza pragmatica all'interno di un testo, sono elementi visivi. Infatti, a seguito di una lettura il testo deve innescare immaginazione, ovvero capacità di fare collegamenti tra elementi già esistenti con l'obiettivo di crearne di nuovi.
Per questo la mia esperienza di lettura non sarà mai uguale a quella di un'altra persona, anche se le immagini suggeriscono lo stesso soggetto visivo.
La sfida di scrivere per far vedere
Scrivere non è un atto puramente accessorio del lavoro visuale e d'immagine. Scrivere significa creare la proposta visiva di un mondo la cui potenza e bellezza sta sul fatto che sì, si fonda su un inconscio collettivo in cui ogni persona condivide le proprie conoscenze ed esperienze con altre persone. Inoltre ogni persona al contempo personalizza, sentendosi parte attiva e integrante di un tutto.
NB: questo testo è stato scritto nel rispetto delle differenze di genere.
Cosa fare con gli hashtag
Gli hashtag, questi sconosciuti. Ebbene sì, perché a differenza di ciò che si pensa, nel magico mondo dei social media manager si fa sempre una grande confusione sull'uso degli hashtag.
Partiamo dal principio: che cosa è un hashtag? L'hashtag è un tag che ha la funzione di aggregatore tematico. Ciò significa che gli hashtag hanno la funzione di contenitori tematici per i milioni di post che ogni giorno vengono pubblicati sui social media. Gli Hashtag furono introdotti in quello che ormai appare come un lontanissimo 2007. Essi servivano a dividere i contenuti in base agli argomenti trattati, rendendone anche più facile il reperimento e a distinguere i cosiddetti trend topic.
I trend topic sono argomenti caldi su cui si discute in un particolare momento e che riescono a fornire un feedback valido sulle tendenze del web in tempo reale.
Hashtag e Instagram
Nati su Twitter, gli hashtag hanno avuto però il loro grande successo dal 2015 grazie ad Instagram. Questo è avvenuto perché si è compreso subito il valore degli hashtag non solo nell'accorpare contenuti simili e che quindi mettevano facilmente in contatto persone con gli stessi interessi, ma anche nell'aumento del numero dei follower.
Usati nella maniera giusta, infatti, gli hashtag hanno il potere di aumentare i follower di una pagina perché giocano sul senso di appartenenza da parte di persone che condividono gli stessi interessi e le stesse problematiche.
Certo, da un paio di anni ad oggi, la tendenza ad usare molti hashtag è diminuita esponenzialmente. Ciò è avvenuto perché l'uso di hashtag troppo generici e diffusi causa una naturale dispersione dei contenuti di piccoli account, che si vedono superati da quelli molto più grandi in numero di follower.
Inoltre, dopo che Facebook (da poco META) ha acquisito Instagram, il potenziale di crescita in organico data dall'uso degli hashtag, è diminuito. Infatti un contenuto cresce solo in adv e farlo crescere in organico sfruttando uno spazio che è bene ricordare, non è nostro, è diventato molto più difficile. Quindi non montatevi troppo la testa: crescerete se imparerete a fare online adv o se vi affiderete ad una persona esperta per farlo.
Diversamente il vostro engagement rate sarà così basso che vi servirà solo per autocelebrarvi, e quindi non vi servirà a nulla.
Perché l'hashtag su Facebook non funziona
Da social media manager e copywriter devo ammettere che vedere hashtag su Facebook è davvero molto fastidioso.
Dal 2016 gli hashtag si sono diffusi anche su faccialibro, ma con scarsissimi risultati. Questo perché a Facebook non serve un aggregante di contenuti: il social di tutti i social non è nato per quello, ma piuttosto per dare contenuti estemporanei e pareri ancora più estemporanei. In più Facebook nasce per raccontare fatti e visioni personali e per condividerli con le persone che abbiamo scelto, non per diffondere contenuti. È per questo che l'hashtag su Facebook non ha appeal, anzi potrebbe sortire l'effetto contrario, disperdendo il nostro contenuto.
In quale ordine inserire gli hashtag
Fermo restando che utilizzeremo gli hashtag solo per i nostri post di Instagram, quindi, cerchiamo di capire anche in quale ordine inserirli in base alla loro tipologia:
- brand hashtag: gli hashtag relativi al brand che stiamo curando, con il loro nome o claim;
- hashtag di settore: si intendono quelli relativi al settore merceologico di riferimento del brand per cui stiamo lavorando; ù
- hashtag generici e trend topic: che siano comunque coerenti con il contenuto che stiamo pubblicando e con la nostra linea editoriale.
Inseriscine massimo dieci, ponderando il numero in base alle tipologie sopra elencate, se non vuoi dare la percezione di essere poco "cool".
Dopo questo, mi raccomando! E buon #hashtag.
NB: questo articolo è stato scritto nel rispetto di una lingua inclusiva e con un approccio gender correct.
Viene prima il copy o la creatività?
È nato prima l'uovo o la gallina? Viene prima il copy o la creatività?
Questa è una domanda che affligge da sempre ogni social media manager e spesso, come la domanda sulla priorità dell'uovo sulla gallina non trova risposte. Spesso noi social media manager ci ritroviamo in questa situazione di delirio: dobbiamo scrivere prima il copy e poi pensare alla creatività o in base alla creatività dobbiamo formulare il copy? La questione si fa interessante e in questo articolo cercheremo di dare una risposta esaustiva in base alle necessità che abbiamo o in base alla situazione in cui ci troviamo.
In un mondo ideale il copy e la creatività rientrano in una strategia
Prima di tutto viene la strategia. Ebbene si. Il copy e la creatività, infatti, sono i due elementi fondamentali di un piano editoriale. Quando ci troviamo a creare una strategia di social media management per clienti, aziende e brand, è necessario che il quadro della situazione ci appaia subito chiaro. Quale obiettivo vogliamo raggiungere? Quale target vogliamo colpire? Quale offerta di prodotto vogliamo proporre al nostro pubblico?
Chiariti i termini ultimi di una strategia di comunicazione, già in fase iniziale, possiamo procedere con la creazione di un piano editoriale. Esso, come sappiamo, consta di copy e di creatività. L'appartenenza di questi elementi ad una strategia più ampia determinano la necessità di pensarli insieme. Nel mondo ideale del social media management, essi dovrebbero nascere, crescere e svilupparsi in contemporaneità. Dovrebbero essere coerenti l'uno con l'altro, perché insieme dovrebbero portare al raggiungimento finale di un obiettivo di brand awareness, di vendita prodotti o di generazione contatti, per citarne solo qualcuno.
Sappiamo, però, che nella realtà dei fatti non è sempre così, soprattutto se siamo freelance e dobbiamo lavorare a contatto con altre professionalità, a loro volta freelance. Inoltre le aziende non hanno sempre la possibilità di avere un reparto di marketing e comunicazione dedicato, e per questo si affidano ad altre professionalità che spesso non riescono ad avere un dialogo continuo fra di loro. E poi, spesso, le aziende non si fidano di chi sa fare il proprio lavoro, imponendo gusti e necessità tutte personali e che non riescono ad essere incluse in una strategia.
Per questo è necessario conoscere cosa sarebbe "il meglio", ma bisogna anche riuscire a barcamenarsi in situazioni più scomode. Vediamo come fare.
Se la creatività viene prima del copy
Ecco, questa è una delle situazioni più comuni: l'azienda ci fornisce già delle creatività e noi dobbiamo adeguare i copy e, ancor peggio, un piano editoriale strategico. Come fare?
Diciamo che questa non è una delle migliori situazioni per chi si occupa di social media management, ma è anche vero che è una delle situazioni più comuni. Soprattutto se non abbiamo una direzione creativa a cui fare riferimento o che ci possa supportare in un qualche modo.
Quindi:
- cerchiamo di programmare comunque una strategia che ci serva come punto fermo per il nostro lavoro, con gli obiettivi che avevamo definito precedentemente con l'azienda;
- analizziamo con calma e attenzione tutti i contenuti che ci sono pervenuti;
- cerchiamo di trovare quelli che meglio si adattano alla nostra strategia (ce ne sarà sicuramente qualcuno che può tornarci utile per attuare il nostro piano);
- diamo ai contenuti una certa coerenza (aggiungiamo un template identificativo del brand o magari il suo logo: a tal proposito Canva può tornarci molto utile);
- scriviamo copy coerenti con i contenuti. È vero, ce li immaginavamo tutti diversi, ma ora che siamo in questa situazione dobbiamo usare tutti i mezzi a disposizione e tutta la nostra intelligenza per fare il nostro meglio con ciò che abbiamo.
- mettiamoci in contatto con chi ha creato quei contenuti e cerchiamo di capire il perché ha pensato proprio a questo e non ad altro. Apriamo un dialogo e cerchiamo di trovare una via comune per capire anche il punto di vista altrui, mantenendo sempre saldi i nostri obiettivi.
- creiamo un piano editoriale intelligente che possa creare un filo rosso coerente con copy, creatività e obiettivi.
Copy o creatività, in ogni caso mantieni la calma
Mantenere la calma è la condizione fondamentale del nostro lavoro. Non sempre le cose vanno come ce le immaginiamo o come, in teoria, dovrebbero andare. Quindi il mio consiglio è sempre quello di fare il meglio con ciò che hai, ma al contempo non perdere la certezza che un giorno le cose saranno esattamente come le desideri!
A branded copy: da dove partire per scrivere per un brand
Spesso, nel nostro lavoro di copywriter, ci chiediamo come fare a trovare le parole giuste per un brand. La domanda sorge spontanea nel momento in cui ci ritroviamo a far combaciare tecniche di vendita, ottimizzazione SEO e l'innata passione per la scrittura che dovrebbe caratterizzare l'atteggiamento di ogni copywriter.
Sono proprio questi i motivi che ci portano ad affrontare la questione: come faccio a scrivere un copy brand oriented? Lo vedremo insieme nel corso di questo articolo.
Come funziona un copy brand oriented
Qual è e come è un copy che funziona in una strategia di Digital Marketing brand oriented? È una domanda che non trova una risposta così scontata. Perché, soprattutto se ci troviamo nelle condizioni di dover scrivere post per un piano editoriale coinvolto in una strategia di Digital Marketing, dobbiamo tener conto di alcuni imprescindibili elementi.
Infatti, se il nostro copy viene letto sui social media, deve essere adatto a quella lettura. E sappiamo quanto sia estemporanea la lettura di post social. Spesso ci ritroviamo di fronte concetti sempre uguali, oppure molto confusi, oppure ripetitivi. In queste condizioni, lasciare il copy e passare ad un altro post e l'atteggiamento più spontaneo che adottiamo. Il sogno di ogni copywriter è che chi legge resti il più tempo possibile sul copy. Quindi, che fare?
Dalle keyword a un copy brand oriented
Affinché chi legge un copy sui social media arrivi alla fine del nostro copy, quel copy deve rispettare la brand identity del brand per cui stiamo scrivendo. È questa la questione più calda da affrontare. Perché un copy, esattamente al pari della grafica, deve rappresentare, deve riflettere ciò che quel brand vuole comunicare. Per questo uno dei motivi più frequenti di abbandono della lettura sta proprio nella difficoltà di chi legge, di connettere scrittura, immagine e brand.
E allora, oltre agli elementi imprescindibili di un digital copy, per cui vi rimandiamo alla lettura di un altro nostro articolo (https://www.lateraltelling.it/2021/11/08/im-a-copywriter-what-is-your-superpower/), bisogna considerare che le parole usate in un copy devono essere coerenti con il brand che raccontiamo.
Il primo passo è isolare le keyword del brand per cui scriviamo.
Produciamo un file in cui andiamo a collocare, attraverso una ricerca, tutte le parole chiave del brand per cui lavoriamo. E dove possiamo trovare le keyword adatte? Facile! Innanzitutto osserviamo il nostro brand, studiamolo, cerchiamo di coglierne tutte le sfumature, parliamo con le persone che lo hanno creato o che già ci lavorano.
Dopo di che, avvaliamoci di tool molto utili al nostro obiettivo: tra questi vi indichiamo alcuni che a noi piacciono molto, come AnswerThePublic (https://answerthepublic.com/), Seozoom (https://www.seozoom.it/) e SEMRUSH (https://it.semrush.com/analytics/keywordmagic/start).
Ovviamente ce ne sono molti altri e una facile ricerca su Google potrà svelarvelo. Questi, però, restano i nostri preferiti. Per i tool che vi abbiamo appena linkato esistono dei piani a pagamento non proprio economici, ma c'è anche la possibilità di accedere a prove gratuite o a ricerche limitate se vogliamo testare qual è quello che "ci veste meglio".
Il potere delle keyword in un copy
Il potere delle keyword è forte. Perché? Ve lo ricordate il famoso campo semantico che ci facevano scrivere in seconda o terza elementare per comprendere un testo? Ebbene, lo studio delle keyword non si distanzia molto da quel concetto. Un copy scritto nel rispetto delle keyword dell'azienda, ma anche e soprattutto delle ricerche che le persone effettuano sul web in base a quell'argomento, sarà un copy vincente:
- perché saprà rispondere ai quesiti richiesti
- perché interpreterà il brand
- perché creerà un rapporto tra chi legge e l'azienda
- perché sarà esaustivo e non sarà mai off-topic
Ovviamente, la forza di chi svolge il mestiere di copywriter sta proprio nel saper usare quelle stesse parole in modo sempre creativo, innovativo, avvincente, divertente, talvolta ironico, sempre leggero.
Fermi questi presupposti, iniziamo la nostra ricerca. Sarà divertente e ci porterà a risultati sperati.
Perché Facebook aiuta un/a social media manager
Facebook è l'origine di tutto: insomma, se non esistesse il social dei social, il nostro lavoro come social media manager non sarebbe neanche un lontano e utopico presagio.
Facebook che ha creato i suoi tool per la programmazione dei post, ovvero Creator Studio e Business Suite. Questi tool sono utili soprattutto a chi gestisce profili social Facebook e Instagram. Il loro primo valore aggiunto? L'essere completamente gratuiti, a differenza di altri e pur validi tool come Hootsuite, Later, Buffer o Sprout Social. I tool appena nominati, infatti, prevedono tutti piani a pagamento. Certo, è possibile anche registrarsi in maniera completamente gratuita, ma per accedere a servizi più utili e specialisti, i piani prevedono tutti una registrazione a pagamento.
Per questo, personalmente, mi sento di consigliare subito di partire proprio da Facebook e iniziare ad esplorare questo mondo.
Creator Studio e Business Suite: programmazione e dati utili
Creator Studio e Business Suite sono i due tool totalmente gratuiti di Facebook a cui qualunque social media manager non può rinunciare.
Essi forniscono la possibilità di programmare i post, di visionare la loro calendarizzazione, ma soprattutto ci forniscono dati utili per comprendere le performance delle nostre pagine social.
Ad esempio, nella versione più aggiornata di Creator Studio, sulla sinistra, tu social media manager neofita o esperto, troverai quella meravigliosa voce detta Insight, che ti sintetizzerà i due dati più importanti per capire l'andamento del tuo profilo: persone raggiunte e numero di interazioni. Questi dati sono rilevanti perché ci consentono di calcolare l'engagement rate, ovvero, il tasso di coinvolgimento degli utenti sulla nostra pagina.
Inoltre, Creator Studio, ci dà la possibilità di definire il periodo temporale per il calcolo dei dati: in questo modo potremo valutare l'andamento del nostro lavoro nel tempo. Se incrociamo questi dati con i contenuti pubblicati, potremo sistemare il nostro lavoro e ridefinirlo in base alle necessità dei nostri clienti, ai trend del mercato e agli obiettivi che ci siamo dati.
Inoltre in Creator Studio sarà possibile operare all'esportazione dei dati. Possiamo, quindi, personalizzare i dati secondo le nostre preferenze con il file automaticamente generato nella voce Esporta dati, in alto a destra.
Anche su Business Suite potremo controllare la voce Insight, ma solo per quanto riguarda i dati che corrispondono alla copertura. La copertura indica quante persone sono state raggiunte in organico o a pagamento attraverso le campagne pubblicitarie.
Business Suite ti sarà più utile per rispondere direttamente ai messaggi che arrivano sui profili Facebook e Instagram e per procedere alla pianificazione di campagne pubblicitarie, aspetti che Creator Studio non contempla.
Facebook for Business: guida per social media manager
Il più grande limite per chi vuole essere un social media manager è intuire quale sia il percorso di formazione migliore. Ad oggi, infatti, non esiste un percorso di formazione univoco per diventare social media manager e questo, spesso, porta molta confusione.
Ma Facebook ha pensato anche a questo: Facebook for Business (https://www.facebook.com/business) è il meraviglioso vademecum per social media manager. È una sorta di libro delle risposte, dove potrai chiarire tutti i dubbi che riguardano il tuo lavoro e farlo nel modo più chiaro e semplice possibile. Inoltre Facebook for Business rappresenta una fonte univoca di informazioni legate al social network, che ti guida sia nei dubbi amletici sui contenuti, che sulla natura e la performatività delle campagne pubblicitarie. Insomma, una volta scoperto non potrai più farne a meno!