La grammatica non è un'opinione, neanche sui social

Spesso social media manager, content writer, blogger, non possiedono una formazione adeguata al mestiere che hanno scelto, alle professionalità a cui hanno deciso di votare la propria vita professionale. E la differenza, ve lo possiamo garantire, non lo fa un titolo di laurea o le decine di titoli o di corsi di formazione che si possono fare, ma la propensione naturale ad approfondire, a fare ricerca, a fare la differenza con la propria personalità. Ciò nonostante ci sono delle regole che non possono essere ignorate, a prescindere dalla formazione o dalla propria personalità; tra queste regole della lingua, sicuramente c'è la grammatica.

La grammatica non è un'opinione, anche se fastidiosa

Una delle materie scolastiche più detestate e odiate, oltre la temuta matematica, è la grammatica. Ma per quanto sia detestabile, la grammatica resta la base imprescindibile per scrivere bene e per comunicare anche bene. Un testo, un copy, un articolo ben scritto e che possa arrivare all'obiettivo che ci siamo prefissati, non può prescindere dal rispetto di semplici regole che rendono la nostra lingua italiana un patrimonio prezioso.

Alcune persone considerano la grammatica un insieme di regole inutili, perché tanto possiamo essere comprensibili lo stesso. Niente di più falso. Immaginate per un momento quando sentite parlare una persona straniera: sbaglierà sicuramente qualche costrutto o qualche regola di formazione del plurale o di uso delle voci verbali. La prima reazione è il riso e, per le personalità più intransigenti, anche lo scherno.

Ma tra tutte le persone che parlano e scrivono l'italiano come lingua madre, quante possono dire di conoscerlo davvero? 

Gli errori grammaticali più comuni nella scrittura digitale

Vediamo insieme, quindi, quali sono gli errori più comuni nella scrittura digitale di copy, blog e articoli.

La consecutio temporum: i tempi verbali (oltre che l'uso corretto dei loro modi) rappresentano una delle spine più difficili. Ci sono tre tipi di legami che collegano le nostre azioni: contemporaneità, posteriorità anteriorità. A questi legami corrispondono gli usi di presente, futuro e passato. Quindi, tra proposizione principale e proposizione subordinata, in base al legame, dovrai scegliere il tempo più adeguato, in base ovviamente al modo.

La punteggiatura non è casuale:

  • i tre puntini di sospensione, tanto ingiustamente abusati, vanno posti solo se una frase (di solito in un dialogo) indica un concetto sospeso;
  • la virgola solo dopo il ma, in un elenco di elementi o per incidere una frase (che sarà comunque subordinata);
  • il punto e virgola, meravigliosa creatura mitologica, si usa quando il concetto della frase non si è concluso, ma si dispiega successivamente e in maniera leggermente diversa rispetto alla frase principale;
  • i punti esclamativi indicano un urlo e sappiamo quanto urlare non sia mai consigliato in un contesto di comunicazione.

Il verbo essere vuole l'accento grave, non l'apostrofo, perché l'apostrofo non sostituisce l'accento. Imparate a farlo da scorciatoia di tastiera, quando dovete scriverlo maiuscolo. Basta cliccare alt212 e il gioco è fatto.

L'articolo indeterminativo un vuole l'apostrofo se davanti ad un nome femminile.

L'avverbio piuttosto non sostituisce la congiunzione eccettuativa "o", ma serve a rimarcare una preferenza.

L'uso della lettera maiuscola solo per i nomi propri e non per intere frasi, che vi faranno sembrare delle scimmie urlatrici.

Ogni tanto andate a capo: paragrafare è fondamentale nella scrittura digitale, perché aiuta chi ci legge a memorizzare e fissare tutti i concetti che vogliamo comunicare e anche la loro priorità nell'equilibrio totale di tutto il contenuto.

Gli hashtag non sono parole; essi hanno una funzione ben specifica nelle dinamiche della scrittura strategica digitale. Non ne abusate, ma soprattutto non sostituite le parole con gli hashtag dove non servono, perché renderanno la lettura più macchinosa.

La grammatica migliora la comunicazione

Un testo scritto bene è un testo leggibile e un testo leggibile è un testo che riesce a comunicare ciò che vogliamo e ciò che serve al nostro target.

Scegliamo il potenziale di differenza, scegliamo la bellezza che è anche sinonimo di qualità e funzionalità. Il resto verrà da sé.

 

NB: questo blog è stato scritto nel rispetto delle diversità, con una lingua volutamente inclusiva.

 

 

 

 


I’m a copywriter! What is your superpower?

LateralTelling è un’agenzia di comunicazione offline e comunicazione digitale online che ha come suo core business l’attività di copywriting.

Vi starete chiedendo come si fa a mantenere un’agenzia facendo solo attività di copywriting. Beh, domanda legittima, ma non facciamo solo questo.

Però il copywriting resta il nostro punto di partenza primario.

 

La scrittura è un potere, un superpotere con cui nasci, un talento naturale che hai fin da piccolo, quando ti ritrovi a scrivere i primi temi a scuola. Chiaramente, però, saper scrivere non basta.

Saper scrivere bene basta fino a quando stai scrivendo il tuo diario segreto appuntando emozioni ed eventi di una giornata. Dopo di che, al di fuori da un contesto intimo è privato, saper scrivere bene diventa una skill fra tante, probabilmente la più inflazionata nel nostro mondo.

Perché, diciamoci la verità, più o meno i copywriter sanno tutti scrivere bene.

Ma quanti copywriter scrivono in maniera efficace? Pensiamoci, anche perché la risposta a questa domanda potrebbe prevedere tempi lunghissimi.

Copywriting: efficienza vs efficacia

Eccola qui, la grande sfida titanica nel mondo del marketing e della comunicazione: essere efficienti o essere efficaci?

Ve lo garantiamo, c’è una bella differenza.

La differenza, ve lo garantiamo, è sostanziale.

Un copy efficiente è un copy ben scritto, bello da leggere, ma che non converte o non ci dà nessuna informazione aggiuntiva rispetto ad un prodotto, ad un servizio o ad un evento.

Insomma, è un copy che resta lì, in mezzo alle centinaia di cose che possiamo leggere quotidianamente su un social media o sul web. Un copy efficiente non ci ha cambiato la giornata, non ci ha trasformato in clienti di un brand o potenziali tali, non ha effettuato una conversione, non ci ha introdotti a qualcosa di nuovo che ci ha incuriosito e di cui vorremmo approfondire la conoscenza.

Altro mondo è quello di un copy efficace.

Un copy efficiente è sostanzialmente un copy che converte. Perché l’obiettivo ultimo di una qualsiasi azienda o di una qualsiasi realtà di impresa, a prescindere dalla natura della stessa, è quello di convertire.

Convertire all’uso di un prodotto, convertire all’uso di un servizio o semplicemente convertire nella misura in cui si può diventare parte di un evento o di un momento di aggregazione.

Un copy efficace non solo racconta ciò che deve, ma innanzitutto cattura l’attenzione di chi legge.

Partiamo dal principio: un copy, per essere efficace, deve esserlo a partire dall’header, ovvero dalla prima riga (massimo due).

È lì, infatti, che il lettore viene catturato e incollato come in una ragnatela. Una volta che avremo catturato il nostro lettore, è difficile che egli/ella vada via o abbandoni la lettura.

Spesso un copy con un header efficace pone una domanda, che può ovviamente interessare il nostro target. Alla domanda, però, deve sempre e comunque seguire una risposta. Essa, la risposta, occuperà il cosiddetto bodycopy, ovvero il corpo del testo. Ed è un elemento necessario.

Immaginiamo, infatti, per un momento, quale potrebbe essere il grado di frustrazione derivato da una domanda disattesa. Altissimo. Perderemmo sicuramente il nostro target, oppure lo deluderemmo, creando un sentimento negativo o di distacco.

 

Nell’header, però, qualora non ci sia posto per una domanda, possiamo metterci una promessa e nel bodycopy sviluppare tutti i benefit che quella promessa l’assolvimento di quella promessa ci può portare.

 

Ma un copy efficace, non ha solo un header e un bodycopy efficaci, ma anche una fine, una conclusione, un happy ending, come nelle migliori fiabe Disney.

Un finale efficace è un finale che riesce a far compiere un’azione a chi legge, che è un nostro cliente o un nostro potenziale cliente.

L’acquisto di un prodotto, la fornitura di un servizio, la richiesta di partecipazione ad un evento: se riusciamo a fare questo, vuol dire che abbiamo inserito una buona call to action, ovvero un invito all’azione e abbiamo portato il pubblico dalla nostra parte, trasformandolo nel nostro pubblico.

È facile, o almeno così sembra.

E questo è solo l’inizio, perché non abbiamo parlato di tone of voice, di brand personality, di brand identity, di USP (unique selling proposition) O DI KPI (key performance indicator), ma avremo tempo e modo.

 

Per ora ci basti sapere che il lavoro del copywriter non è così semplice o figo come vogliono farci credere. Insomma, ci vuole un grande lavoro e una grande dedizione alla causa.

Ma è da qui che parte il nostro viaggio e siamo felici di averti a bordo!