Il mito di una forza che non vogliamo più

Quello della forza, della performance e della prestanza, sia fisica che psichica, è un mito che non vogliamo più. 

Essendo passati dall'essere consumatori a utilizzatori di brand, oggetti, beni e servizi, il mito della forza legato al brand non ci interessa più. Ma vediamo nello specifico di cosa stiamo parlando.

Il diritto "a fare schifo" e ad essere se stessi

Analizzando cosa avviene quotidianamente sui social media ci si accorge palesemente di due tendenze: una è quella di una società ancora e profondamente legata all'apparenza e al sensazionalismo, dove foto luminescenti fanno da padrone nei feed bellissimi di gente sempre al top. Viaggi in giro per il mondo, skicare quotidiane che aiutano a mantenere una pelle splendida, acquisti continui sui siti di fast fashion per accaparrarsi l'ultimo trend in tema di abbigliamento o lifestyle. A sostenere queste influencer dell'ultima ora, brand patinatissimi a cui piace urlare il prezzo alla migliore offerta.

E poi, di contro, c'è chi, invece, si accaparra il diritto a fare schifo. Influencer che parlano del disagio quotidiano, corpi "non conformi" a canoni ormai ritenuti superati, ricerca di regimi alimentari più salutari e attenti al rispetto della natura e degli animali,  gente che si ribella a orari di lavoro stabiliti secondo ritmi non umani, alla ricerca di un equilibrio tra vita e lavoro che apporti benessere alla persona e quindi più qualità alla produttività.

I brand accolgono questi cambiamenti e si danno a comunicazioni non più sensazionalistiche, dove l'autenticità diventa un valore e dove la naturalezza degli atteggiamenti e delle abitudini diventa un argomento all'ordine del giorno.

Senza più affaticarsi per raggiungere un canone di bellezza e uno stile di vita che vede l'apparenza al centro di tutto, brand e persone iniziano a dialogare su quale sia un futuro possibile nell'ottica della sostenibilità e dell'equilibrio per tutti.

Una strada verso l'inclusione che ci porta a riflettere sulla nostra fragilità e su quanto una sovra-esposizione massmediatica e socialmediatica sia ormai diventata inutile.

Il valore della comunicazione

C'è da aggiungere che il rischio di greenwashing e di socialwashing sia sempre dietro l'angolo. Il primo appartiene a un tipo di comunicazione non veritiera che esalta aspetti naturali ed ecologici che in realtà i brand non abbracciano; il secondo, invece, appartiene a quei modi di fare e di comunicare dei brand che mettono in primo piano la salute mentale e l'inclusività ma che poi, in realtà, non la esercitano davvero né nei prodotti/servizi né nelle politiche aziendali.

Chi, invece, comunica di meno e cerca una corrispondenza di qualità tra percepito-comunicazione-azioni reali risulta indubbiamente più autentico, più vero agli occhi di chi deciderà di scegliere quel brand perché lo rispecchia davvero.

Siamo consapevoli delle nostre falle e dei nostri fallimenti: sono questi che ci rendono più umani e vogliamo questo anche dai brand: è una via più sana per modellare una società più accogliente. 

 


Donne che si sentono in colpa: come cambiare comunicazione

Donne che si sentono in colpa, sempre, costantemente, per qualsiasi cosa facciano, pensino, dicano. Donne che si sentono in colpa per desiderare di essere semplicemente se stesse. Donne che si colpevolizzano per gli atteggiamenti malati dei partner, per un fischio o un commento indesiderato per strada o sui posti di lavoro. Donne che si sentono in colpa di girare in pantaloncini e maglietta o con vestitini leggeri se fa caldo, perché se attirano l'attenzione degli uomini e delle loro esternazioni ovviamente, è colpa loro. Donne che non lasciano perché si sentono in colpa se i compagni, i mariti, stanno male. Donne che chiedono "scusa" per qualsiasi cosa, che se non riescono a stare zitte, a stare al posto loro, ovviamente si vedono arrivare un conto salato. Donne che non riescono a comunicare, a comunicarsi, perché potrebbero turbare la "serenità" di qualcun altro.

Le donne si sentono in colpa, sempre. Ma da cosa nasce questo sentimento bloccante?

Il senso di colpa femminile deriva dalla cultura dello stupro

La cultura dello stupro prevede la "normalizzazione" di qualsiasi forma di violenza contro le donne, che sia verbale, fisica, psichica, morale. Ovviamente, una delle sue conseguenze più lampanti conseguenze è la colpevolizzazione della persona a cui è indirizzata quella forma di violenza.

Se ti hanno fatto catcalling per strada è perché eri troppo svestita. Se il capo ti ha messo la mano sul fondoschiena è perché gli hai dato modo di farlo. Se ti hanno seguita di notte è perché stavi rientrando a casa troppo tardi. Se il tuo partner ti ha tradito è perché non eri abbastanza avvenente. Se tuo marito ti picchia è perché tu rispondi male o parli troppo. Se papà non ti vuole bene è perché hai fatto la monella. Se ti hanno uccisa è perché te lo meritavi.

Questo tipo di comunicazione verbale, questa narrazione della violenza, riguarda tutte le donne fin da bambine. Il linguaggio verbale è uno strumento potentissimo che consente alle persone di interiorizzare forme culturali fino a crederle "naturali"; per essere più chiari, questo si manifesta quando diciamo "è sempre stato così", credendo, erroneamente, che non possa essere diversamente.

Come disinnescare il senso di colpa femminile con il linguaggio verbale

A partire proprio dal linguaggio verbale, che crea il mondo in cui viviamo, si può disinnescare la cultura dello stupro e il senso di colpa femminile.

Il primo passo da fare è sicuramente quello di promuovere la cultura della consapevolezza. Se le donne iniziano ad essere consapevoli dei propri desideri, delle proprie volontà, abbracciando il punto di vista del "io voglio" e non del "io devo", il senso di colpa inizia già a de-potenziarsi.

In aggiunta alla cultura della consapevolezza, un utilizzo del linguaggio verbale che si proietta alla libertà e all'auto-determinazione, appare fondamentale nel percorso di annientamento del senso di colpa. Fare pace con i propri sentimenti, con le proprie credenze, con i propri punti di vista, con i propri desideri, alimentando per la propria felicità, senza sacrificarla a quella altrui, è un altro tassello importantissimo nel percorso di liberazione dal senso di colpa.

Inoltre, se le donne imparano a ri-educarsi, tenendo per mano la loro bambina interiore e fornendole modelli di comportamento e decisionali alternativi a quelli che le sono stati imposti durante l'infanzia, la strada verso la libertà apparirà più facile. Ovviamente questo è un percorso difficile, che può durare mesi, anni o tutta la vita, ma non è impossibile.

Se ci hanno insegnato a sentirci in colpa semplicemente per ciò che volevamo, se ci hanno insegnato a seguire un modello conforme ad una cultura che privilegia l'uomo in ogni manifestazione dell'esistenza, se ci hanno insegnato che abbiamo un posto marginale in quella cultura che promuove la violenza solo a nostro discapito, non è detto che sia giusto. Ogni pattern comportamentale è socio-culturale e non naturale: per questo può essere demolito e sostituito. 

Imparare ad usare una comunicazione volta alla libertà e al rispetto

La comunicazione verbale è fondamentale tra gli esseri umani, ma essendo frutto di un sistema ideologico-socio-culturale può essere modificata.

Come donne dovremmo imparare che l'espressione di ciò che sentiamo dovrà manifestare ciò che vogliamo e non ciò che dobbiamo secondo qualcun altro.

Parliamo prima a noi stesse, ponendoci la domanda "cosa vuoi fare?" in sostituzione a "cosa devi fare?". Di qui, abbracciamo la nostra volontà e rendiamola parola, linguaggio e poi, di conseguenza, atteggiamento, comportamento, pratica.

E se non ce la facciamo da sole, chiediamo aiuto: accanto a noi potremo trovare tante altre donne come noi che stanno facendo lo stesso percorso.

 

 

 


Femminismo sostenibile

Cosa significa sostenibile? Letteralmente “assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

È quindi possibile un femminismo sostenibile? Assolutamente si, e ne avremo via via sempre più bisogno nel nostro mondo contemporaneo.

L'obiettivo è quello di integrare queste proposte nelle dinamiche di transizione ecologica aziendale e, quindi, culturale. Perché se parliamo di sostenibilità, non facciamo solo riferimento all'ambiente, ma anche alle politiche di genere, alla salute mentale delle persone, all'opportunità di un mondo migliore per tutti e tutte.

Il Femminismo sostenibile, esattamente come tutto ciò che è sostenibile, assicura i bisogni della generazione di oggi, attraverso lo studio e la comprensione delle dinamiche del passato che hanno portato, progressivamente, alla liberazione delle donne nel presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri, anzi dando nuovi strumenti, nuove modalità e nuovi spazi di azione. 

Perché l'urgenza di un Femminismo sostenibile?

Partiamo dal presupposto che la vita di una donna non è quasi mai (se non mai) sostenibile, perché è plasmata dal patriarcato. È con il patriarcato che ci confrontiamo ogni giorno, anche nelle azioni apparentemente più banali. Basti pensare al fatto che modelliamo i nostri orari di uscita e di rientro a casa e i percorsi da fare in base alla sicurezza delle nostre città; la sicurezza ovviamente si misura sul rischio di essere aggredite sessualmente. Pensiamo al gender gap degli stipendi confrontati con quelli di colleghi uomini con le stesse mansioni. O ancora al fatto che le donne tendono a coprirsi di più sui mezzi pubblici, non perché ci sia l'aria condizionata sparata a palla, ma perché hanno paura di essere molestate, colpevolizzandosi così, come se la molestia dipendesse realmente dal modo in cui si è vestite. O all'atteggiamento remissivo di fronte un episodio di catcalling, di insulti verbali, di mani sul culo sui luoghi di lavoro. Perché se ti ribelli sarai considerata una pazza che non era riuscita a capire "il gioco", una persona pesante che affronta la vita con poca leggerezza.

Una vita non sostenibile è una vita vita difficile, che procede a scatti, ricca di ostacoli da affrontare quotidianamente, in cui anche la cosa più "banale", come tornare a casa da sole in tarda serata (cosa assolutamente normale per gli uomini), diventa di una difficoltà a volte insormontabile.

Ecco la radice dell'insostenibilità, ovvero dover adeguare la propria esistenza a quella altrui.

Ma la vita di una donna è insostenibile non solo per la paura nei confronti degli uomini, ma anche per il gravoso aspetto di cura che alle donne è affidato da millenni (e per affrontare questo tema ci riserviamo altri articoli, considerata la complessità).

Per questo si pone l'urgenza di parlare di Femminismo sostenibile, perché il cambiamento va integrato in una società in cambiamento sotto molti punti di vista, ma soprattutto perché recuperare la situazione della crisi ambientale e umana che oggi viviamo può partire proprio da qui, dal ruolo delle donne e dalla consapevolezza del loro immenso potere.

Nuovi strumenti per un Femminismo sostenibile

Quali sono i nuovi strumenti che ci servono oggi per pensare ad un Femminismo sostenibile?

Oltre la conoscenza, fondamentale e assolutamente primaria per prendere consapevolezza della storia che, come donne, ci ha condotto fino a qui e ci ha portato ad essere ciò che siamo in questo presente, sicuramente altri strumenti e metodologie per integrare nella nostra vita due importantissimi aspetti:

  • l'auto-coscienza che ci sostiene, nell'essere aggiornate sulle nostre possibilità. Si parte dal fatto che quella della nostra presunta debolezza o minore capacità logica di districarsi in situazioni semplici o di responsabilità, è solo frutto di una narrazione patriarcale che da millenni ci vuole "più fragili" per poter effettuare migliori forme di controllo a nostro discapito, su tutte le fasce d'età e su tutte le estrazioni sociali;
  • l'auto-difesa, perché da sole possiamo e sappiamo difenderci. Altro cardine della narrazione patriarcale è stato quello di renderci sottomesse sempre alla presenza di un uomo per sentirci più sicure. Siamo educate all'insicurezza fin da bambine e questa sensazione di inadeguatezza ce la portiamo dietro per tutta la vita. A tal proposito il Wen-Do, una disciplina di origine canadese, diffusasi poi in tutto il mondo e in Europa principalmente in Germania e Svizzera e, a piccoli passi, anche in Italia, può rappresentare una fonte di ispirazione enorme e inesauribile per le tematiche che stiamo affrontando.

Il Femminismo sostenibile nelle imprese

In questo articolo introduttivo, mi preme fare presente che oggi nelle imprese e nelle culture imprenditoriali, si sta facendo sempre più spazio il tema della salute mentale e del benessere psichico dei lavoratori. Per le donne, però, e per la complessità delle tematiche e delle misure da adottare, la transizione verso una maggiore sostenibilità diventa, ovviamente, più articolata.

Per questo iniziare a parlare e cominciare ad educare oltre alla sostenibilità, anche ad un femminismo sostenibile, può significare garantire un'ampia fascia di lavoratrici maggiori diritti e maggiore benessere, oltre che una migliore work-life balance.